Domanda:
Che cos'è una casa-famiglia?
Topina
2007-12-05 08:59:07 UTC
La casa famiglia è quel posto dove si ospitanoi bambini abbandonati? Se si, se uno volesse aprirne una dovrebbre essere laureato?Si può considerare un lavoro..? Rispondete in tanti grazie ^^
Sette risposte:
DΛVIDVJΛCKSON
2007-12-05 09:02:13 UTC
La casa-famiglia, secondo il Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001, n. 308, è una «comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni» la cui finalità è l'accoglienza di minori, disabili, anziani, persone affette da AIDS, persone con problematiche psico-sociali



Molte case-famiglia, si occupano dell'accoglienza di minori «per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia». Si pongono in alternativa agli orfanotrofi (o istituti) in quanto, a differenza di questi, dovrebbero avere alcune caratteristiche che la renderebbe somigliante ad una famiglia. In una stessa struttura potrebbero essere accolte anche minori con disagi e difficoltà di diverso tipo.



I tratti di maggiore affinità con la famiglia sono i seguenti:



Presenza di figure parentali (materna e paterna) che la eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti.

Numero ridotto di persone accolte, per garantire che i rapporti interpersonali siano quelli di una famiglia.

La casa deve avere le caratteristiche architettoniche di una comune abitazione familiare, compatibilmente con le norme, eventualmente, stabilite dalle autorità sanitarie.

La casa deve essere radicata nel territorio, deve, cioè, usufruire dei servizi locali (negozi, luoghi di svago, istruzione) e partecipare alla vita sociale della zona.

Il Decreto Ministeriale stabilisce, nell'art. 3, che «per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini, degli adolescenti, sono stabiliti dalle Regioni». Tra i criteri organizzativi, le Regioni possono stabilire anche accorpamenti tra più comunità. A seguito di ciò, vi sono strutture la cui capienza totale supera anche i 100 minori accolti.



Le prime case-famiglia hanno avuto origine tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta da esperienze di condivisione diretta con persone in situazione di handicap. A quel tempo, queste erano per lo più confinate in istituti nei quali l'attenzione era posta soprattutto sulla patologia e sulla sua terapia. Spostando l'attenzione sulla globalità della persona venne l'esigenza di creare strutture che ne permettessero anche un inserimento sociale ed una vita di relazione normale.



Nel 1964, a Pian di Scò, in provincia di Arezzo, nacque la prima case-famiglia dell'Opera Asssitenza Malati Impediti (OAMI), aperta da Mons. Enrico Nardi, per potere inserire i disabili in una piccola comunità, anziché in grandi strutture.



Nel 1972 a Coriano, in provincia di Rimini, sotto la guida di Don Oreste Benzi, nacque la prima casa-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.



Ciao t.v.b. by naruto uzumaki !!!
Brontolona
2007-12-05 09:12:57 UTC
Una casa famiglia è una struttura che ospita bambini o ragazzi al di sotto dei 18 anni che non possono vivere con i loro genitori per vari motivi (incapacità genitoriali, perchè orfani, oppure abbandonati).

Per aprire una casa famiglia ti ho trovato questo su internet:

Procedura per l'apertura di una comunità ...e suggerimenti per la gestione

I primi passi da compiere sono nella direzione della scelta di un ambiente adatto: infatti, i primi a effettuare i controlli saranno ASL, ufficio tecnico del comune e Vigili del Fuoco. Pertanto vanno rispettate tutte le norme sugli impianti (legge 46/90) e sulla sicurezza dei posti di lavoro (legge 626).

Nella predisposizione degli spazi va tenuto presente che deve esservi un bagno per minori diversamente abili. Per il resto devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione.

Una volta ottenuto il nulla osta rispettivamente da ASL, ufficio tecnico del Comune e Vigili del Fuoco, di norma la struttura potrebbe, in accordo con il comune, già funzionare e, quindi, accogliere. In tal caso serve una dichiarazione autenticata del rappresentante legale nella quale si dichiari che tutti i nulla osta sono stai ottenuti e che è stata avanzata richiesta di autorizzazione al comune. Quindi ci si deve rivolgere all'assessorato ai servizi sociali del comune sul cui territorio insiste la struttura; va fatta una domanda in carta da bollo, allegando:



Nominativo del rappresentante legale;

Autorizzazioni di cui sopra;

Planimetria della struttura;

Progetto educativo;

Curriculum del personale impiegato, con copia dei relativi contratti, nonché, per il personale che avrà diretto contatto con gli utenti, tesserino sanitario.

Fino all'entrata in vigore della disciplina regionale, i comuni rilasciano autorizzazioni all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale a seguito della verifica del possesso dei requisiti minimi strutturali e organizzativi. Si tratta di autorizzazioni c.d. provvisorie, valide sino alla emanazione dei regolamenti attuativi della normativa regionale.



Requisiti minimi strutturali

Fermo restando il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi, le comunità devono possedere i seguenti requisiti minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della legge n. 328 del 2000:



ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici, comunque tale da permettere la partecipazione dei minori alla vita sociale del territorio e facilitare le visite agli ospiti delle strutture;

dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto, organizzati in modo da garantire l'autonomia individuale, la fruibilità e la privacy;

presenza di figure professionali qualificate, in relazione alle caratteristiche ed ai bisogni dei minori, così come disciplinato anche dalla regione;

presenza di un coordinatore responsabile della comunità;

adozione di un registro dei minori ospiti e predisposizione per gli stessi di un piano

individualizzato di assistenza e di un progetto educativo individuale; il piano individualizzato ed il progetto educativo individuale devono indicare in particolare: gli obiettivi da raggiungere, i contenuti e le modalità dell'intervento, il piano delle verifiche;

organizzazione delle attività nel rispetto dei normali ritmi di vita dei minori;

adozione, da parte del soggetto gestore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000, comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con indicazione delle prestazioni ricomprese.

Tipologie di strutture

Le strutture per minori che erogano interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia sono distinti secondo le seguenti tipologie:





comunità familiare;

comunità educativa;

comunità di pronta accoglienza;

comunità alloggio o gruppo appartamento per adolescenti;

centro socio-educativo diurno;

La comunità familiare è struttura educativa residenziale, caratterizzata da bassa intensità assistenziale, destinata alla convivenza stabile di un piccolo gruppo di minori con due o più adulti che assumono le funzioni genitoriali.

La comunità educativa è struttura residenziale a carattere comunitario di tipo familiare caratterizzata dalla convivenza di un gruppo di minori con un'équipe di operatori professionali che svolgono la funzione educativa come attività di lavoro.

La comunità di pronta accoglienza è struttura educativa residenziale a carattere comunitario caratterizzata dalla temporaneità dell'accoglienza di un piccolo gruppo di minori con un gruppo di educatori che a turno assumono la funzione di adulto di riferimento svolgendo attività lavorativa.

La comunità alloggio o gruppo appartamento per adolescenti è struttura educativa residenziale a carattere comunitario caratterizzata dalla convivenza di un gruppo di giovani, con la presenza, limitata ad alcuni momenti della giornata, di operatori professionali che a turno assumono la funzione di adulto di riferimento.

Il centro socio-educativo diurno è struttura di prevenzione e recupero aperta a tutti i minori che, attraverso la realizzazione di un programma di attività e servizi socio-educativi, culturali, ricreativi e sportivi, mira in particolare al recupero di minori con problemi di socializzazione o esposti al rischio di emarginazione e di devianza.

Legge 328/2000.

D.P.C.M. n. 308 del 21 maggio 2001.

Allegato A del D.P.C.M. 308/2001.





Il personale

Ogni struttura deve avere un coordinatore responsabile, che può anche non coincidere con il rappresentante legale (il quale di solito è il presidente della cooperativa che gestisce la struttura o, in caso di struttura religiosa, il superiore della stessa).



Ecco un buon organigramma:



1 coordinatore responsabile;

1 coordinatore psico-pedagogico;

1 formatore dell'equipe degli educatori;

1 amministrativo/contabile;

1 psicologo/a;

1 medico;

1 assistente sociale;

1 cuoco/a;

1 operatore/trice polifunzionale (pulizie, magazzino, ecc.);

educatori in rapporto 1:3 (massimo 1:4) per ogni turno - fatta eccezione per il turno della notte, in cui è possibile avere un solo educatore di turno.

Sarebbe cosa buona, per ogni comunità, dotarsi di ragazzi/e del servizio civile, oltre che di un discreto bacino di volontari. Molto importante l'apporto di famiglie volontarie (ben formate) che accolgano i minori che non possono rientrare in famiglia durante i week-end e nei periodi di vacanza.



Il fund-raising iniziale

Molte comunità hanno il problema del reperimento fondi per l'avviamento. Ecco alcuni suggerimenti:



chiedere un finanziamento agevolato a una banca o a Banca Etica;

chiedere agli imprenditori locali di regalare varie suppellettili, facendo quasi una "lista di nozze" e invitando gli imprenditori a una serata di presentazione del progetto (in fin dei conti, curare i ragazzi in situazioni di disagio deve interessare l'intera collettività);

chiedere un patrocinio ad un ente locale;

partecipare a un bando comunitario/nazionale/regionale/locale;

donazioni deducibili dalla dichiarazione dei redditi del soggetto donante.

La gestione

I costi di gestione sono la spina nel fianco di ogni comunità. Quali sono le fonti di finanziamento:



la retta giornaliera corrisposta dall'ente affidante;

la convenzione stipulata con un ente locale per la riserva di un certo numero di posti: in tal caso l'ente paga sempre, sia che i posti siano occupati sia che siano vacanti, ma la comunità non può rifiutare i casi che vengono proposti dall'ente convenzionato;

Fondazione Banco Alimentare, per quel che concerne il vitto;

convenzione con ipermercati locali perché donino alla comunità la merce invenduta;

partecipare a un bando comunitario/nazionale/regionale/locale;

donazioni deducibili dalla dichiarazione dei redditi del soggetto donante.

La presa in carico di un minore

Ecco i passaggi da seguire:



Alla domanda dell'ente circa la disponibilità di un posto è bene rispondere con un fax, indicando il progetto educativo della comunità e le tariffe applicate; richiedere quindi un fax di conferma: in caso di ricevimento della conferma via fax, a tal punto il minore è preso in carico.

Quando il minore viene accompagnato presso la comunità nuova, dovrà trovare ad accoglierlo le persone che saranno i suoi angeli custodi nei primi giorni ( i più difficili): il coordinatore, lo psicologo, un educatore di riferimento; queste persone presenteranno al ragazzo/a ed eventualmente ai suoi familiari, nonché all'assistente sociale che gestisce il caso, la vita della comunità che lo sta accogliendo;

In questo primo incontro viene stilato il verbale di accoglienza e vengono fissati i tempi per la predisposizione del PEI (Progetto Educativo Individuale): una buona comunità non dovrebbe mantenere i bambini o i ragazzi oltre i 12/18 mesi, per questo è sempre consigliabile formare un gruppo di famiglie che siano disponibili all'affidamento, qualora i tempi della risoluzione della situazione di disagio si allunghino oltre il previsto.

Alcuni consigli sui rapporti con gli enti

Inviare mensilmente, unitamente alle fatture, una piccola relazione di aggiornamento;

Non cedete alla richiesta dei servizi sociali di andare nei loro uffici a relazionare: il minore lo devono osservare nell'ambiente in cui egli vive (vedere la sua stanza, il suo armadio, i suoi libri di scuola, la musica che ascolta, i poster che appende al muro, il rapporto che ha con i coetanei, il suo sviluppo psico-fisico): non fatevi tentare dalla faciloneria, avete la responsabilità di una persona che vi è stata affidata.

Entro un mese dalla presa in carico bisogna comunicare all'ente il PEI del minore affidato, al Tribunale dei Minori e ai servizi sociali;

È consigliabile comunicare tempestivamente, via fax, all'ente affidante, eventuali rientri in famiglia del minore e/o assenze scolastiche o dal luogo di lavoro.

Ricordate che il PEI va stilato dalla vostra equipe psico-pedagogica, ma l'ultima parola spetta sempre ai servizi sociali e al giudice del Tribunale dei Minori competente per il caso.

Cercate sempre di presenziare con un membro della vostra equipe psico-pedagogica alle udienze di aggiornamento dinanzi al giudice del Tribunale dei Minori competente per il caso.

Come comportarsi con il fisco

Innanzitutto, due parole sulle fatture emesse nei riguardi dell'ente affidante: esse, in caso di comunità facente capo a una società, devono riportare l'Iva al 20%; mentre, nel caso di cooperative sociali, di Onlus, di associazioni di volontariato ed enti ecclesiastici o istituti religiosi, ai sensi del n. 21 dell'art. 10 del D.P.R. 633 del 1972, l'Iva non è dovuta. Considerato che spesso le fatture tornano indietro perché qualche burocrate non è a conoscenza di detta norma, consigliamo di specificare in ogni fattura il perché l'Iva non viene calcolata. Le sole cooperative sociali hanno la facoltà di optare per l'applicazione dell'Iva al 4%, ai sensi del n. 41 bis della Tabella A, parte II, allegata al suddetto DPR 633/72.



Circa le figure contrattuali con il personale: bene, con alcune figure specialistiche (medico, psicologo, ecc.) è meglio richiedere la semplice fattura. Per tutte le altre figure è consigliabile il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che con la riforma Biagi ha preso il nome di contratto a progetto: tale contratto comporta un'applicazione dei contributi previdenziali pari al 17,80% del netto dovuto (10% nel caso che il lavoratore abbia già una posizione previdenziale aperta presso l'INPS); di questa quota i 2/3 sono a carico del datore di lavoro e 1/3 a carico del lavoratore. Per tutte le altre imposte (Irpef, laddove dovuta, imposte regionali e comunali) viene applicata una ritenuta alla fonte.



Spero di averti aiutata.

Bacioni
✿Libertine✿
2007-12-05 09:05:34 UTC
Guarda mia zia è una suora ed ha una casa famiglia...in realtà nn è solo x i bambini abbandonati...ma anke x i bambini/ragazzi (al di sotto dei18 anni) ke hanno genitori alcolizzati, violenti, madri ke si prostituiscono o ke kmq nn sn in grado di mantenere dei figli....una volta raggiunti i 18 anni i ragazzi possono andarsene da lì....x la laurea sì, penso serva.....mia zia ha fatto il liceo classico....ma nn so se si è laureata....e x l'ultima penso ke nn si possa considerare un lavoro, xkè nn vieni pagato!!!!!!!!! (o almeno mia zia no^^)

Ciauz =)
Odioso Superficiale e pedantesco
2007-12-05 09:02:43 UTC
Nn credo che ci sia bisogno di una laurea.. Che strano desiderio, c'e un motivo particolare?
2007-12-05 09:01:53 UTC
A tutte. si.......!!!=).....
?
2007-12-05 09:01:30 UTC
si a tutte le domande XD
2007-12-05 09:00:52 UTC
certo


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
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